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buttata sulla poltrona
era lei l'oggetto della partita.
la partita di quegli intellettuali allumati
che si prendevano per signori
appena lasciati soli.
ma che erano così oscenamente brillanti
quando si mettevano a lavorare di fino
con concetti e discorsi di erezione.
erano così generosi con l'onore degli altri
che un bastimento non bastava certo
a portare al cesso il loro autobiografismo
tutto fatto di gloria e di monumenti di marmo fino.
erano conti e viceduca quando li lasciavi soli
ma al tavolo da gioco
erano mentalmente dei mentecatti,
dei monumenti dove portare con gioia
i cani a pisciare.
la donna la pagarono un quarto di stipendio,
ma chi la vinse
non gli s'alzò,
era un perfetto intellettuale di grido.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
lei sul giornale sempre nuda sotto il raso di pizzo,
con i piedini gravidi di appuntamenti in tutti i film,
l'attrazione del salone del barbiere,
insegnante d'inglese d'amore,
università di soggetti gobbi profeti maledetti inseguiti minorati moltiplicati estasiati perseguitati licenziati mobilizzati derelitti istruiti monaci nottambuli fotografi pittori poeti attori commedianti autisti corridori fabbri pagliacci giornalisti direttori professori antropizzati nazionalisti universalisti,
con sommario del perfetto filosofo,
amante fallito,
sospeso dal liceo,
vincitore di un misero 12 al totocalcio
sempre bocciato al catechismo
bevitore incallito di acqua minerale senza sale,
in tasca il chiavino di una casa contadina
generale di un esercito di tappi di birra,
quelli peroni contro tutti gli altri colorati.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
(ogni verso è un capitolo di romanzo.)