venerdì 14 ottobre 2016

Gli anni più belli della mia vita li ho trascorsi in manicomio. Li’ non scrivevo più, ma ho imparato cos’è l’amore, che e’ molto più grande della poesia. Lì nessuno si lamentava, nonostante si soffrisse molto. Ed e’ stata una felicita’ per noi tutti, l’accorgersi del dolore dell'altro. E’ questo l’amore che intendo. Mi infastidisce la curiosità, l’infelicità degli altri, la lagnosità. Io non ho mai desiderato il mio compagno di cella, ma gli ho voluto molto bene. Ultimamente, uno di loro mi ha chiamata dicendo: “ mi vien da piangere, adesso che sei diventata celebre, non per amore, ma perchè non ti ricordi più di quando ti coprivo le spalle”.
Alda Merini
DARIO FO eclettico...
Carlo Magno, la cassoeula e la vendetta dei lumbard
Se c' è un piatto che incarna l' anima e lo spirito dei milanesi, questo è la cassoeula detto in antico caza. Gli ingredienti principali di questo piatto sono le verze nere e alcune radici profumate, quindi le parti meno nobili del maiale come la cotenna, i piedini, la testa e soprattutto le costine. Quando ero ragazzino, mi ricordo che lo si cucinava solo nelle grandi occasioni e devo dire che mia madre era di una bravura incredibile: i miei amici si informavano del giorno in cui lo preparava per farsi invitare. I racconti della tradizione popolare ci restituiscono un fatto davvero spassoso e al tempo stesso drammatico: una storia degna di Pantagruel sull' origine della cassoeula che risale all' epoca di Carlo Magno e della sua discesa in Italia, anno 773, quando venne a sconfiggere definitivamente i Longobardi. Una volta vinto l' esercito di Desiderio, ai lumbard di tutta la piana del Po, primi fra tutti i milanesi, volle infliggere una umiliazione spietata: ordinò ai vinti di costruire un arco di trionfo in suo onoree di leccare la pietra finché risultasse pulitae sbiancata. Finito l' arco, qualcuno gli mise in testa di sfidare i lombardi su un altro terreno, la cucina. C' era all' epoca la vulgata che i lombardi fossero cuochi straordinari in grado di cucinare pietanze luculliane con ingredienti poveri. «Improvvisatemi un piatto dei vostri: ma attenti a voi, se non è davvero eccezionale vi faccio mozzare la testa!». Di ingredienti per cucinare non ce n' erano più. I lumbard cercarono nei borghi intorno, scendendo nelle conserve, cioè dentro ghiacciaie ante litteram, pozzi a forma di coni rivoltati, nel cui fondo, grazie alla neve portata dai monti, si riusciva a conservare per mesi le carni e i pesci. Visitarono tutte le conserve, raschiando i fondi per trovare un po' di pezzi di maiale. Poi nei boschi trovarono verdure selvatiche, cipolle e soprattutto la verza nera. Quindi, ungendo il tutto di sugna, cominciarono a mescolare quell' intruglio dentro pentoloni per ore. Carlo Magno stava lì appresso ad annusare il profumo. Si sedette alla mensa già inebriato da quell' odore. Cominciò ad inghiottirne qualche pezzo e ne rimase estasiato. «Fatene ancora per stasera», ordinò. I milanesi a quel punto, vollero vendicarsi: «Non possiamo - risposero - non c' è carne perché gli animali di sera non si fanno vedere». «Che animali?», chiese Carlo Magno. «Topi, meglio pantegane!», dissero i milanesi infilzando sontuosi pezzi di stracotto. «La cassoeula si fa con le pantegane?», chiese Carlo emettendo rutti da imperatore. «Sì, più qualche gatto e cani randagi». Con un urlo el maior dei Franchi decise di impiccarli tutti. Lo bloccò il suo consigliere, un saggio a cui dava sempre retta: «Carlo, non farlo! Se li impicchi, girerà voce che li hai condannati per vendicarti dell' affronto d' averti fatto gustare pantegane, gatti e cani bastardi e tu non ci faresti una bella figura. Mostrati soddisfatto e fingi di leccarti le labbra per il gusto e invita tutti i tuoi a mangiarne a strozzo. Vedrai che nessuno poi avrà mai il coraggio di parlarne». Carlo il Grande alzò la brocca colma di vino e urlò: «Evviva! Brindiamo alla cassoeula, regina di tutte le leccornie!»